Caso clinico di paziente affetto da HIV

HIV

Ragazzo di 27 anni,  si rivolge al medico di base per febbricola da circa una settimana che tende a presentarsi la sera, senza superare mai i 37,2 gradi. Il ragazzo presenta inoltre una importante balanopostite (infiammazione del glande e del prepuzio). Il medico di base li prescrive una pomata antibiotica e lo ricontrolla dopo una settimana. La situazione riscontrata al controllo è identica. Il medico di base decide pertanto di inviarlo dall’urologo specialista. L’urologo rileva dall’anamnesi che il paziente ha avuto un rapporto completo non protetto circa un mese precedente la visita. All’esame clinico si riscontrano linfonodi di tipo reattivo inguinali sotto ascellari e laterocervicali. Permane la balanopostite che a detta dell’urologo sembra essere di tipo micotico (da funghi). L’andrologo decide di somministrare alcuni esami ematochimici tra cui il dosaggio di marcatori virali nel sangue ed in particolare richiede la ricerca del virus della epatite virale di tipo A, il virus epatitico di tipo B, il virus dell’epatite C, il virus della mononucleosi infettiva ed il dosaggio delle proteine virali del virus della immuno deficienza acquisita. Prescrive anche una pomata da applicare sul glande a base di itraconazolo (antimicotico). Il paziente dopo circa una quindicina di giorni chiama allarmato il suo andrologo dicendoli che è stato contattato dal laboratorio per comunicazione riguardante l’esame del sangue eseguito.  L’andrologo decide pertanto di accompagnare il paziente al ritiro degli esami.  Effettivamente il collega infettivologo comunica al momento della consegna degli esami che c’è il riscontro di positività per la glicoproteina GP 120, ovvero che il ragazzo è sieropositivo. Chiaramente la notizia sconcerta molto il ragazzo che malgrado le rassicurazioni del medico infettivologo decide di ripetere gli esami in un altro ospedale, nel frattempo fissa un nuovo controllo andrologico dopo aver ricevuto i nuovi esami di laboratorio.  L’andrologo decide di far sottoporre il ragazzo ad un protocollo di trattamento con terapia anti retrovirale anche sulla scorta della positività riscontrata al nuovo controllo. Il ragazzo si sottopone alla terapia retrovirale con 3 diversi tipi di farmaci, ai quali il ragazzo risponde in maniera eccellente al punto che a distanza di un anno dal trattamento la carica virale risulta azzerata.

Discussione del caso clinico

Il virus della  immunodeficienza acquisita è un particolare tipo di virus che ha caratteristica di sintetizzare il proprio materiale genetico, che è un filamento di RNA, partendo dal DNA. Questo processo richiede un enzima peculiare del virus che si chiama trascrittasi inversa.  Il virus tende ad espletare le sue funzioni vitali parassitando alcune cellule del sangue apparteneti ai globuli bianchi, chiamati linfociti CD positivi, mediante l’interazione con una proteina virale detta gp120. Il virus possiede anche alcune proteine dette fusogene gp 41, nella fattispecie, che fanno letteralmente attaccare tra loro più linfociti riducendone il numero e la loro funzione. Questo porta ad una riduzione delle difese immunitarie ( immunodeficienza acquisita ) con conseguente possibilità di ammalarsi di malattie infettive anche di banale entità.  Una volta giunta in questa fase la malattia assume la caratteristica di una sindrome da immunodeficienza acquisita ( AIDS ). I sintomi sono molto vaghi, caratteristica è la comparsa di una linfoadenopatia diffusa, la febbricola e l’astenia.  Chiaramente in fase avanzata ovvero di forte linfopenia, i sintomi sono quelli dell’infezione opportunista associata. Si riscontrano anche alcune forme tumorali come il sarcoma di Kaposi, malattia piuttosto rara in Europa.

sarcoma di Kaposi

Quando negli anni ottanta fu isolato il virus della HIV, si aveva a che fare con una malattia che equivaleva ad una condanna a morte, con una aspettativa di vita di circa due anni. Negli anni successivi la ricerca ha permesso la messa in commercio di farmaci retrovirali che attaccano il virus in diversi momenti della sua replicazione. Questo ha permesso un netto miglioramento della prognosi di questa malattia che permette una sopravivenza fino all’età senile, al punto da consentire anche in alcuni casi la guarigione. Questo successo ha prodotto inevitabilmente un abbassamento della guardia nei confronti di questa malattia, portando ad un aumento considerevole dei sieropositivi.  Il tutto è aggravato da una sempre più facile comunicazione tra i continenti, permettendo un incremento nelle varie forme di turismo sessuale, che associato alla disinformazione sull’utilizzo di sistemi di protezione, ha portato al diffondersi di questo virus anche nei paesi industrializzati. Oggi per sapere se si è stati contagiati dal virus, è sufficiente eseguire un test gratuito in tutta Italia,  nel caso risulti positivo, ci si può sottoporre alla terapia retrovirale che nella maggior parte dei casi è ben tollerata.  Massima attenzione va fatta sulla prevenzione ricordando che il virus si trasmette con scambio di sangue, sperma e secrezioni vaginali. I rapporti sessuali non protetti ( di tutti i tipi), sono a rischio in particolare quelli più facilmente esposti ad abrasioni della mucosa come i rapporti anali. Questo giustifica il perché questa malattia era particolarmente frequente tra gli omosessuali. Si stima inoltre che in solo in Italia il primo rapporto si abbia attorno ai 15 anni, e nel 30 % dei casi questo risulta non protetto. Nel 1986 furono sperimentati i primi veri farmaci antivirali che inibivano la trascrittasi inversa come la zidovudina detta AZT. Questi erano analoghi di alcune basi azotate usate dal virus per sintetizzare il proprio genoma fatto da RNA. A questi si sono aggiunti la zalcitabina, lamivudina, stavudina ed altri.  Nel 1996 si è studiato e messo in commercio un farmaco appartenente agli inibitori delle protesi, ovvero quegli enzimi virali che tagliano le proteine virali che poi vanno ad assemblarsi costituendo il virus dell’HIV.  L’indinavir ed il più recente saquinavir confonde i siti di taglio di queste proteine bloccandone la produzione. Oggi si usano combinazioni diverse di farmaci  dette HAART (terapia antiretrovirale altamente attiva), solitamente composte da tre farmaci diversi. Gli effetti collaterali di questi farmaci prevedono  adispepsia, nausea e vomito, addominalgia, meteorismo, alvo diarroico.  Si associano anche alterazioni dei lipidi nel sangue come i trigliceridi. L’indinavir in particolare può dare formazione di calcoli renali radio trasparenti di consistenza molle.  Risulta inoltre fondamentale non saltare mai il ciclo di terapia, altrimenti si ottengono con estrema facilità resistenze alla terapia.